Nella crasso umorismo popolano al fine s'annida lo stesso germe che nei raffinati stiletti ironici d'un salotto borghese, la volontà di colpire alla cieca, terrorizzare l'uomo che il destino ridicolo è proprio il suo, se possibile, colpire tutti assieme nel pubblico più variamente formato, sì magari farlo con una potente granata di sfiducia nelle umane capacità, annientar tutte le di loro sicurezze, cercando perfino di renderci "falsamente difformi".
Il malcapitato: "Sono proprio io allora, sta dicendo a me, oh santo cielo, spero proprio che nessuno se ne accorga", esattamente come M Butterfly, il bersaglio è improvvidamente se stessi, la propria umanità capovolta che diviene sdegno per gli altri attorno a noi, anziché elemento di coesione, cemento dei popoli. Il comico è così il più masochista e disumano tra gli attori, "il mostro" di Benigni e quelli di Dino Risi, l'avido cannibale dei propri stessi gusti, il denigratore delle proprie passioni, la bestia nel proprio cuore.